[ ANTOLOGIA ]

2- Sulle sue oscure origini

    "Le piazze delle bancarelle e dei mercati di frutta di paese, di Buenos Aires, furono attivi focolai folclorici" spiega Marcelino S. Román "punto d'incontro permanente tra la città e l'interno, tra la testa della nazione e la campagna…"
Poi aggiunge:
"Con le truppe di carri viaggiava la chitarra, le canzoni camminavano da un posto all'altro, si produceva l'interpretazione di elementi dinamici della vita criolla e della cultura popolare attraverso diversi mezzi, urbani e rurali, ma con il logico predominio della influenza campagnola visto che la maggioranza della popolazione del paese risiedeva nelle campagna. Sulle tracce dei carretti viaggiava anche la voce del payador [ * ] "

    Confermando questo apprezzamento Aníbal D. Facio scrive:
"Prevalevano nelle riunioni dei mercati il canto e la chitarra, primordiali attrazioni della campagna di allora e radicate nei sobborghi della città. Si andava così accentuando l'aria della milonga…"

    Alberto J. Lanús al proposito segnala nella cronaca:
"Per lo straniero curioso che visitava Buenos Aire in quei giorni, era un'attrazione particolare assistere a quelle scene che si ripetevano passo a passo e dove si riconosceva il gaucho autentico [si riferisce alle riunioni sorte intorno a una chitarra] che si misurava coraggiosamente col compadrito di tango, che già s'insinuava come variante cittadina di quel prototipo di campagna…"

    C'è inoltre da indicare altri fatti riguardo a tale relazione tra il mondo campagnolo e quello urbano. Vivián Trías sostiene che: " "…L'industrializzazione delle città non poteva assimilare tutti gli emigrati dalla campagna, cosicché sulle sue sponde urbane incomincia a radunarsi un torbido mondo di disadattati, prostitute, compadritos e giocatori …"

    Il che comporta conseguenze profonde evidentemente, visto che , come osserva Daniel D. Vidart [antropologo e scrittore uruguayano]:
"I malavitosi delle orillas [ * ] costituivano un raggruppamento umano di carattere marginale, non erano gente di campagna né tantomeno potevano essere gente di città, erano privati di un passato che nella nuova condizione non apparteneva loro e di un futuro cittadino al quale non potevano aspirare per un'intrinseca impossibilità di adattamento. Restava loro solo il disperato presente della sopravvivenza fisica…"

    Tale trasferimento, tale nuova situazione servì per stabilire cambi d'identità. Lauro Ayestarán [musicologo urugrayano] sostiene:
"Verifichiamo così che, insieme allo stornellatore, appare prendere maggiori dimensioni (anno 1870) il 'milonguero', che era nell'ambiente suburbano quello che l'altro era stato in quello campagnolo…"

    Al proposito Vicente Rossi dice:
"La payada era la poesia estemporanea dei paesani rioplatensi. … Però la sincera e sentita payada visitò gli abitati portata dalla fama della sua virtuosità; scambiò la vincha e il chiripá [elementi del vestiario gaucho] con i panni del criollo, la sua probità tra i sobri gruppi intorno ai fornelli paesani naufragò in quelli delle osterie, dove il veleno tenta nei bicchieri e la morte nelle lame temprate… E il payador si sfumò nel milonguero e lo stornello ingenuo dei falò bucolici, unico romanzo dei nativi sani di corpo e d'animo, si convertì nella milonga dei fornelli militari e dei tuguri cittadini … Per questo la milonga è la payada popolare…"

    Francisco Pi y Suñer si lamentava di fronte ai cambiamenti avvenuti:
"Se ne va il cantastorie classico, o meglio, già è sparito di fronte all'azione spianatrice della civilizzazione che uniforma usi e costumi… Da gaucho errante si è trasformato in artista in vestito moderno che percorre le città cantando nei circhi, nei club, nei teatri…"

    La stessa milonga subirà col tempo varie modificazioni. Borges commenta:
"C'è una differenza fondamentale tra le milonghe antiche - diciamo tipo Pejerrey con papas - dell'Accademia Montevideana, e le milonghe di sapore archeologico che si elaborano ora: quelle di ieri esprimevano una felicità possibile, immediata, quelle di oggi un paradiso perduto…"

    Altrettanto appartengono a Borges le seguenti osservazioni sulla milonga cantata:
"La sua versione corrente è un infinito saluto, una cerimoniosa gestazione di materiali sdolcinati, corroborati dalla grave battuta della chitarra. Qualche volta narra senza vergogna di cose di sangue, duelli di un tempo, morte di coraggiosi, chiacchiere di provocazione; altre volte provano a simulare l'argomento del destino. Le arie e gli argomenti variano; quello che non varia è l'intonazione del cantante acuta quasi nasale, strascinata, con accenti d'irritazione, mai gridata, tra la conversazione e la cantata. La milonga è una delle grandi conversazioni di Buenos Aires…"

    Col tempo la milonga conoscerà un altro destino, amplierà le sue direzioni. Rossi racconta.
"Quando le note della milonga o del genere correvano per il quartiere, le vicine che tenevano un buon rapporto con la padrona della casa dove si effettuava, si affaccendavano per abbellire la riunione e, immancabilmente era impossibile resistere alla tentazione di "dare una svolta", e si allestiva il ballo, al quale soleva prestare il suo efficace contributo la fisarmonica, strumento preferito in tali casi e che il criollo maneggiava abilmente…"
"Allora gli strumenti pizzicavano valzer, mazurche, polche, danzas [ballo delle Antille francesi] e chotis [ballo di Madrid], unici componenti di tutti i repertori dell'epoca; di provenienza Europea, come classificazione, non rispetto a composizione e autori, poiché, senza il pregiudizio di suonare roba importata ed eseguita a memoria, la maggior parte di ciò che la gente ballava era composta dai loro musicanti senza nome e battezzata con titoli ben criollos da quegli anonimi maestri "a orecchio"…"
" Si ballava in coppia, uomo e donna abbracciati, come nei balli "di società", il che si diceva "alla francese" supponendo che questa moda provenisse da Parigi, però saltava immediatamente agli occhi la differenza nella tecnica delle coppie familiari o "di società" con quelle orillere. Le prime ballavano senza toccarsi i corpi e con l'uomo che retrocedeva. Le seconde completamente al contrario: i corpi in contatto, di più o di meno secondo la loro confidenza, con la donna sempre retrocedendo., nessuna contorsioni o traspiè, niente più della camminata vecchio stile, decorosamente. Ancora non erano apparsi il corte e la quebrada [ figure di tango] …"
"In questi casi il ballo preferito era la Danza, di origini afro-antillane, che i francesi portarono al loro paese nell'epoca del Can-can, attratti dalla sua sensualità soave e serena contrapposta alle furiose frivolezze dell'altro…"

    È inevitabile tornare a citare Rossi se vogliamo conoscere il nuovo andamento della milonga:
"Il nostro orillero, data la sua artistica e insolente predisposizione
mise" a questa Danza che il marinaio cubano regalò alle notti dei locali portuensi, " un secondo nome (quello di Habanera) alla Danza, con riferimento alla sua origine" e " messa alla prova la sottigliezza coreografica del nostro orillero, a poco a poco la Habanera passò attraverso la caratteristica trasformazione…"
"Le riunioni danzanti negli alloggi delle donne ricevettero immediatamente la visita della Danza, poiché erano un prolungamento dei quartieri marittimi, e quando già dominata e ampliamente assimilata divenne immancabile nelle allegre riunioni rivaresche, un terzo nome definì la sua nuova trasformazione e si chiamò Milonga, per processo logico e naturale: come abbiamo visto, un'esibizione di canto precedeva questi balli o, come si diceva e ancora si dice, si "milongueava". Allora la riunione si chiamò milonga, di conseguenza dire andiamo a "milongueare", poteva significare a cantare o a ballare o entrambe le cose. Il nuovo ballo tentatore non potè eludere l'olio battesimale dell'ambiente in cui si sviluppava e si chiamò Milonga, incorporandosi nettamente al "criollismo"…

    La parola così acquista un altro significato. Secondo il Diccionario de vocablos brasileros di Beraurepaire-Rohán : "…milonga è vocabolo di origine negra [bunda] … milonga (anche plurale) significa "parola"…, conserva in tal modo la sua origine africana, che significava 'intreccio',,,"

    Però tra di noi - e come stabilisce Daniel Devoto - : "…milonga significò bordello con ballo, ballo da cui si può una ottenere 'prestazione', di modo che 'andare alla milonga' equivale a frequentare riunioni di questo tipo…"

    E già nel Martín Fierro [ * ]il vocabolo è usato con questo valore:

Supe una vez, por desgracia,                   Seppi una volta, disgraziatamente
que había un baile por alli                         che c'era un ballo da quelle parti
y medio desesperao                                  e mezzo disperato
a ver la milonga fui...                                  me ne andai a vedere la milonga …

    Anche una vecchia quartina popolare assicura che:

Caballeros milongueros,                             Signori milongueri,
la milonga está formada                              la milonga è preparata
el que sea milonguero                                 chi è milonguero
que se ateva y la deshaga...                       che osi e partecipi

    Su un piano più profondo, strettamente musicale, milonga vorrebbe significare quella congiunzione di ritmi acquisiti dall'habanera con le arie della milonga propriamente detta [ stornello ] . Casto Canel osserva:
" Il ritmo particolare dell'habanera consegue un'importanza fondamentale nello sviluppo del tango; durante un lungo periodo su tale ritmo si costruisce la formula d'accompagnamento della chitarra. Dalla Polca, forse l'eredità maggiore, il tango va ad acquisire un maggiore senso formale. Queste forme, arrivando al Rio de la Plata, s'incontrano con la milonga nel suo pieno fiorire e agendo su di essa originano un processo d'ibridazione dal quale nasce, dall'anno 1890, il tango orillero…"
     Più avanti avverte che:
" …posteriormente all'apparizione del milonguero e come conseguenza forzata della nuova situazione, appare il musicante orillero, che non cantava più ma eseguiva solamente, e con lui le prime orchestre di tango. È tramite il musicante orillero che si costruisce il tango…"

     Carlos de la Púa, al cantare lo splendore e la virtù dei primi tanghi, non tralascia di segnalare i loro vincoli con la milonga:

Tango milonga, tango delle periferie                              Tango milonga, tango arrabalero
Che denunci le tue pene come infastidito                       que tu penas batis como estufado
C'è una rivelazione in mano al carcerato                         hay un deschave en zurda de canero
Nei tuoi giri tristi e stanchi…                                             en tus giros tristones y cansados
La tua cadenza orillera è sorpassata.                             Tu cadencia oriyera es atrasada
Sei di quei tanghi che se ne andarono                            Sos de aquellos gotanes que se fueron
Scacciati da quelli di oggi, pura ostentazione                cabreros con los de hoy, pura parada,
Con tutta quell'enfasi che ci hanno messo                       con tanto retintin che le metieron

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Se ne andò col tuo tango la milonga pura.                      Se fue con tu tango la milonga pura.
Quella d'oggi, di saloni col pavimento lustrato                La de hoy, con salones de piso lustrao
E il tango sporcato da qualunque bellimbusto                y al tango lo ensucia qualquier caradura
Col colletto, la cravatta e il vestito attillato                       con cueyo, corbata y traje ajustao

[da Don Juan e El Choclo, poesie lunfarde di Carlos de la Púa]

     " La popolarità che acquistava la milonga ballabile - scrive Rossi - suggerì nei sobborghi un nuovo affare e si realizzarono 'saloni pubblici da ballo' con l'abituale aggiunta di bevute. In Montevideo ne sorsero più o meno una in ogni quartiere, el Purto, el Bajo, la Aguada, el Cordón, etc.; non raggiunsero la mezza dozzina. I più famosi e che rimasero fino a essere gli ultimi a sparire, furono quello chiamato Solis y Gloria, del sobborgo marottimo, e il San Felipe del quartiere costiero Cubo del Sud, allora chiamato el Bajo. Ci riferiamo alle vere sale da ballo, alle 'accademie', non ad altre che ebbero anche la loro popolarità, che però utilizzavano il ballo come preludio al libertinaggio, non facendo di esse una specialità bensì un mezzo. Solo il San Felipe si abbellì del sottotitolo di accademia di ballo, che poi venne generalizzato per distinguere tali locali. Le accademie non sono cosa antica, l'ultima il San Felipe, chiuse nel 1899. Vivono ancora molti che la conobbero senza sospettare che là covava il famoso Tango, tra donne della peggiore specie, combriccole di compari professionisti, in un ambiente pieno di fumo, polvere e esalazioni alcoliche."

     Più avanti descrive il mondo intimo di tali saloni da ballo con queste parole:
" Sfilate di vessilli e fiori di carta lo adornavano dappertutto. Illuminato a cherosene. Sedili… giusto delle panche accostate alla parete, dove si sedevano solo le donne in attesa delle richieste; per i musicisti varie seggiolacce, e poi: il pubblico, clienti e perfino il maggiordomo amministratore, in piedi. Le orchestre erano solitamente composte da mezza dozzina di musicisti, generalmente creoli, virtuosi "a orecchio", i più ispirati componevano i ballabili che dovevano accreditare il locale. La maggior parte strumenti a fiato, poiché l'entusiasmo si otteneva in proporzione diretta al volume. Non si conosceva il bandeneon che è un brutto rimpiazzo della già menzionata fisarmonica a tasti che non tutti sapevano maneggiare e che come la comune fisarmonica si usava solo nei balli popolari e nelle baracche delle orillas. Non solo la milolonga si ballava nelle "accademie", ma anche valzer, polka, mazurka, chotis, pasodoble, cuadriglia; tutto energicamente assoggettato alla tecnica della milonga."
     " Le danzatrici, negre e bianche. Non si richiedeva loro nessuna speciale dote estetica, ma solo che fossero buone ballerine, e lo erano senza dubbio. Come abbigliamento, gonna corta, sottovesti molto inamidate e soffici; le uniche gonne corte che si videro allora e le stesse della moda attuale, questo indumento non era come lo è oggi, un mezzo per 'esporre la merce', lo richiedeva il lavoro poiché era impossibile eseguire il 'corte' con la gonna lunga. L'immondizia femminile del suburbano allegro si difendeva tra la dure panche di quei locali. Una terribile maledizione per la donna di vita all'aria aperta, predirle che avrebbe concluso il suo destino in una 'accademia'. Non si ballava per il momentaneo contatto con la donna, ma per il ballo stesso. La compagna completava la coppia, perciò non le si richiedeva nessuna attrattiva ma solo abilità nel ballo. Quelle infelici lavoravano senza riposo dalle prime ore della notte fino all'alba, sopportando un compito estenuante. Non avevano salario e dividevano con l'impresario gli onorari (qualche centesimo) stabilito nella tariffa fissa richiesta al cliente per ogni brano."

     A sostegno di questa asserzione, un racconto di Alberto Ghiraldo intitolato "La llaga al aire " conferma:
" Stavo in uno di quelle balere [peringundines] di campagna, dove si ritrovano i veri amanti del tango alla ricerca di buone compagne di ballo, ed era richiesta a tutti i partecipanti una quota dovuta alle loro straordinarie doti di ballerina…"

     Riguardo ai brani musicali che si ballavano in quei circoli, Rossi segnala che:
"…il nostro orillero prodigava nel repertorio straniero la sua spontanea e illimitata inventiva coreografica; abbracciato alla sua compagna, ora con molta brillantezza, ora immobile, ora lasciandola per eseguire con se stesso una figura sconcertante per poi tornare ad afferrare lei, la quale a sua volta è rimasta a rimirarlo civettando il tempo musicale."

     Luis Mario [ * ] commenta:
"Là intorno agli anni settanta, e non del secolo della brillantina, il tango agitò il suo fazzoletto compadrito e orillero. Da dove arrivò, con la sua carica spavalda da giovane toro? Per la sua maniera di presentarsi è difficile sbagliare la sua genealogia. La radice spagnola ovviamente. Ma solo la radice. Per lo più, un po' di candombe africano intrecciato con la malavita della pampa. Si definì perfino nel meticciamento dei ritmi sdolcinati dell'habanera cubana, languida e cadenzata nel suo tempo due per quattro, e della milonga birichina, maliziosa e selvatica, che nell'altro secolo faceva svolazzare i pizzi della negra Dominga, quella mulatta che muoveva le gambe con tanta abilità come muoveva la frusta per la cioccolata, mentre fuori, nella festa, il tamburo e il flauto, ci davano dentro…"

     Il debito del tango verso il candombe e la milonga si trova certificato in alcuni paragrafi di Rossi :
"Nel 1866/67 si diffuse in Montevideo un tango intitolato El Chiciba ( in gergo negro El Escoba o El Escobero, ma era un candombe secondo quelli che lo conobbero; senza dubbio un tango all'africana. Nel '89/'90 appaiono nel Plata certi tanghi composti e pubblicati a Buenos Aires da professionisti criolli, e la cosa suggestiva è che gli stessi compositori già pubblicavano milonghe. Tali tanghi erano habanera e milonghe del tipo accademico di Montevideo. Questo cambio di nome dell'habanera non ebbe altra ragione che quella di offrire una novità 'per piano', e incluse in esso la milonga, che circolava in edizioni che facilmente gli appassionati esaurivano. Si adottò il vocabolo 'tango', per allontanamento da 'tanguito', cubano come la habanera e entrambe le danze dei negri…"

     Commentando queste parole, Horacio Jorge Becco dice:
" Malgrado l'assertivo e sereno paragrafo di Rossi, sappiamo che tanto l'origine del nome quanto quella della danza offrono nondimeno discussioni ulteriori…"

     E Borges avanza le sue discrepanze da quanto affermato da Rossi:
"A parte il pragmatismo, l'argomentazione di don Vicente Rossi si può ridurre onorevolmente a questo sillogismo: "la milonga è montevideana, la milonga è l'origine del tango, il tango è di origine montevideana". Ammetto che la premessa minore è ineccepibile; in cambio, non credo a quella maggiore e non so di nessun argomento valido che l'avvalori."

     Non è questo l'unico testo dove Borges si oppone alle asserzioni di Rossi, e in un altro suo lavoro si possono trovare altre osservazioni:
"Il tango sedicente argentino (secondo Rossi) è figlio della miloga montevideana e nipote dell'habanera. Nacque nell'Accademia San Felipe, locale montevideano di pubblico ballo, tra compari e negri; emigrò a Bajo di Buenos Aires e vagò tra i quartieri di Palermo (dove lo accolsero i bifolchi e le donnacce) e si fece sentire nelle balere di Centro e a Montserrat, fino a che lo celebrò il teatro nazionale. Cioè a dire, il tango ha nodi di capelli alla radice. Essere di colore umile ed essere orientali sono condizioni creole, ma i neri argentini (e persino i non neri) sono tanto creoli quanto quelli di fronte e non c'è ragione per supporre che tutto fu inventato sull'altra sponda. Mi risponderanno che c'è la ragione effettiva che così fu, ma questa gincana non soddisfa il nostro patriottismo, piuttosto lo esaspera e lo irrita. Il tango è porteño, la gente porteña si riconosce in esso pienamente; non così il montevideano, sempre nostalgico dei gauchos…"

     Le parole di Borges causarono la seguente osservazione di Vidart:
" Il tango è un valore culturale con identica radicazione e vigore tanto in Montevideo quanto in Buenos Aires. Entrambe le sponde del Plata gli prestarono la loro musica, i loro testi, i loro ballerini (!Fate largo che balla un orientale!, dicevano quelli che s'intendevano di corte y quebrada nei peringundines di Buenos Aires) , le loro moltitudini devote. La "Guardia Vieja" si costruì su ardui violini montevideani e sui flauti traversi di bonaerensi. Le Accademie 'a centesimi' nella Fascia Orientale (Uruguay) e le balere situate sull'altra sponda imbastirono i passi di un ballo incisivo e sensuale…"

     Anche Lauro Ayestarán [ musicologo, Montevideo, 1913 - 1966 ] si oppone a Rossi, alla sua interpretazione che il tango documenti nella sua gestazione un considerevole apporto negro. Tra molti altri argomenti, sostiene:
" Sebbene sia poco quello che si è potuto raccogliere, la musica africana possiede caratteri generali diversi dal tango. D'altra parte, un fatto culturale può avere contenuto e contenitore di origini diverse: un caso chiaro è il mondongo il cui nome di evidente origine africana contiene una ricetta culinaria che non lo è. Nella stessa maniera l'argomento si può impiegare verso coloro che vedono nel vocabolo tango il punto di partenza della musica che rappresenta. I negri la cui presenza effettiva nella zona del Plata può essere stimata dalla prima metà del secolo XVII, mai produssero - salvo eccezionalmente e in intimità - le loro autentiche danze e canzoni, dato il loro carattere rituale…"

     Opinione che condivide Carlos Vega [ * ]:
"Un canzoniere può ricevere l'influenza di un altro a condizione che esista qualcosa in comune, che non ci sia un abisso sentimentale tra loro. Ma la musica dei negri evidentemente non può risvegliare nei crilllos le attrattive necessarie per la sua adozione."

     In cambio Hector e Luis Bates tollerano o accettano l'apporto negro, intendendo che il tango
"… ha dell'habanera la linea melodico-sentimentale, la sua profndità emotiva; dalla milonga prende la virtuosa coreografia; e dal candombe accetta il suo ritmo e il suo suono insistente, lento…"

     A questo proposito Mario dice:
"Accettiamo la definizione dei fratelli Bates e mettiamo il tango in quei pannolini di fango, in quei sobborghi di Buenos Aires di ieri che odoravano di pascolo campagnolo e si incendiavano con il lampeggiare vivido dei fuochi di bivacco. Tra "Dame la lata" del 1880, fino a "Queco que me voy p'al hueco" passano appena due lustri [ * ]. E dai suoi predecessori degli anni settanta fino a "El apache argentino"(3) c'è quasi mezzo secolo di ritmi, cortes, quebradas e "grovigli" che riassumono la vera storia del tango criollo…"

     A questo tango elementare e selvatico Carlos de la Púa [ * ] dedica l'emozione di alcuni versi:

E se invece che di candombe è di corrida                     Y se en vez de candombe es de corrida
la musica compadre del tuo tango,
                                 la musica compadre de tu tango,
sei come lama crudele e risoluta
                                    sos como daga cruel y decidida
che in una rissa s'infilò fino al manico…
                         que en una bronca se metiò hasta el mango

     Rammentando i primi momenti del tango, anche Carlos R. de Paoli si dilunga in una poesia la cui parte iniziale spiega:

Dicono che il tango, secondo ciò che si racconta
là nelle pampas di storia cruenta,
vecchi quartieri ne furono la culla…
E che nelle notti di bianca luna
la locandiera coi soldati
- silenziosi, ardenti, fieri, impegnati -
mentre i violini degli indigeni
si sfilacciavano gemendo un tango,
era da vedere quella locandiera,
fiera e impettita con gli arabeschi
marcati dai suoi fianchi…
facendo fiamme con un'occhiata…
Presa tra le braccia di un sergentaccio
dai capelli neri, la faccia divisa
in due da un'accettata
che dicono gli diede un indianaccio
già sono dieci notti da allora…
E intanto il resto della risma
mentre la gente continua a ballar tango
muti e selvatici si passano
la sporca bottiglia di schifosa birra…
E quando il tango sta per morire
negli ultimi spasimi della nottata,
dice la gente che si sentiva
come un atmosfera di pugnalate…

     "La leggenda della nuova musica, soprattutto del nuovo ballo - descrisse Luis F. Villaroel - finì col prendere posto e affrettare la sua inevitabile presenza. Il tango smise di essere girovago di periferia. Arrivò fino a Palermo, cuore illuminato a gas della notte porteña, entrò ancora in erba nella grande città. .. Nei dintorni di Palermo brillava sulla vita notturna di Buenos Aires. La Glorieta, Los Hansen, El Tambito e la Vasca riempivano l'ambito peccaminoso della recente gran aldea di allora. I nomi di questi locali si pronunciavano a voce bassa. Rifugio di viziosi e di donne di bassa lega - nel contesto delle conversazioni a voce alta - erano in realtà un mondo sotterraneo con tutto l'incanto del proibito, per la parte maschile dell'epoca. In quei luoghi si incontravano le bamboline (cocotes) seduttrici e la gioventù dorata che anelava a farsi sedurre…"

     Domingo F. Casadevall sottolinea che. " … i ragazzi frequentavano molto i locali e le balere (peringundines) alla ricerca di occasioni per dimostrare l'entusiasmo di imparare a ballare la danza disapprovata dal buon costume, per trattare le femmine con la superiorità del maschio, per relazionarsi con la gente malavitosa e trattare da pari coi cosiddetti guappi."

     Perché per il tango, in quegli anni di ascesa, non c'era che un'unica e rituale pista, come chiosa Mario:
" I bassifondi. E dei bassifondi, più di tutto il bordello. Il tango ebbe le sue sacerdotesse eleusine: la Chata, la Barquinazo, la Pampita, La Parda Flora, Rosa la tigre… Tanto che guappi a dozzine, quattro o cinque in ogni quartiere dei sobborghi da Bajo Belgrano a la Boca, vaccari (troperos) come Langanay, capi gentaglia come Traversa, detto "Cielito", furono i cultori e i protagonisti di quei duelli di amore e sangue in cui il coltello era ricordato nella figura detta puñalada, mentre i piedi, con la punta dello stivaletto, disegnavano nombres, corrridas, ocho e medialunas [passi e figure di tango] nell'ampio pavimento delle balere famose : La Ensenada, La Bateria, Tres Esquinas, Las14 Provincias. Musica proibita nei 'locali decenti', il tango si affermò nelle periferie e regnò per decadi nei centri di svago di una volta. .. Disprezzato fuori dalle periferie dove regnava, visse spadroneggiando negli stivali a punta e tacco alto, nei bordi delle espadrillas rivierasche e nel garofano rosso che penzolava dall'orecchio dei carrettieri…"

     Riferendosi a questo periodo Horacio Arturo Ferrer osserva:
"Il fenomeno creativo coniato ai margini della vita cittadina, implicò a suo lato veri e propri orrori umani. Molti luoghi che la leggenda e i commentatori hanno trasformato eufemisticamente in 'circoli pittoreschi', non furono altro che esecrabili empori della prostituzione. Molte sventurate provinciali o figlie di immigrati erano reclutate grazie a favolosi inganni d'avventura e sottoposte più avanti alle più deprecabili transizioni di compra-vendita, per sfruttarle fino alla nausea, esposte alla prepotenza sessuale degli orilleros. O alla vanità del teppista per il quale era causa d'orgoglio possedere una donna in tali mercati …"

     José Sebastiàn Tallon descrive alcuni di tali scenari primitivi del tango:
"Durante i concerti si beveva nervosamente ed era cosa da maschio farlo senza misura. In generale si trattava di un pubblico di amorali e svergognati e di altri la cui disgrazia e il cui diletto consisteva in sembrarlo. Non erano tipi da ammonticchiarsi come pacchetti, seggiola vicino a seggiola, in una confusione piena di fumo, e da starsene là metà nottata a guardare in alto verso i musicisti, per passare le ore incantati come bambini. Il tango e l'alcol erano una sola cosa, e nessuno alleviava le pene che mulinavano, ronfando come cinghiali, negli abissi del loro virile petto. Il tango era per loro cosa da forti, come un bicchiere doppio di assenzio o una pugnalata. I nottambuli libertini della Boca non potevano finire nottata senza andare dopo ll concerto a ballarsi un tango nei bordelli. I ballerini di nome come El Civico solevano dare proprio là veri spettacoli di coreografia orillera. In un'atmosfera farneticante qualcuno si appartava a volte e applaudiva alla folla postribolare invariabilmente ubriaca e frenetica. I ballerini rivali diventavano di cattivo umore, i cuori delle prostitute impazzivano, montava l'ambizione dei mocciosi dall'aria di ruffiani precoci. Cortes, quebradas, lussuria, confusione volgare, bottiglie, turpi palpeggiamenti, lame gelose, fumo. Se non c'erano risse e arresti, non si dava tregua ai musicanti fino all'alba. E gli omosessuali, e le scene picaresche e grottesche…"

     L'origine stessa del tango, i luoghi frequentati nel suo sviluppo iniziale, spiegano la "…insistenza sulla sua lussuria malinconica, su una travisata e quasi esasperata sensualità" da parte dei letterati che si occuparono di tango. Borges, a cui appartiene questa osservazione, aggiunge questi esempi:

Aura figlia mia, ululò il compadre,
e la fosca compagna
offrì la vergogna
del sua calda spudoratezza
frustando con la sua carne,
come lingua di un fuoco,
le vibranti interiora di quella ciurmaglia dell'amore…

[ I Vinti di Marcelino Del Mazo ]

Macchia rossa,
che si coagula in nero.
Tango fatale, superbo e bruto.
Note strascicate, pigramente, su una tastiera lamentosa.
Tango severo e triste.

Tango di minaccia,
ballo di amore e di morte".

[ Il poema "Tango", scritto da Ricardo Gùiraldes a Parigi nel 1911 ]

 

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[ * payador: cantastorie, stornellatore; payada: arte poetico musicale simile allo stornello italiano]
[ * "Dame la lata", tango di Juan Perez del 1888. La lata era il gettone di latta usato nei bordelli. "El Queco" (il bordello), composto intorno al 1880, uno dei primi tanghi a divenire popolare.]
[ *"El apache argentino" tango del 1913, di Manuel Aróztegui, testo di Arturo Mathón ]
[ * Carlos Vega: Buenos Aires, 1898 - 1966, musicologo, compositore, e poeta, considerato il padre della musicologia argentina. ]
[ * Martín Fierro: poema gauchesco (1872-79) del poeta argentino J. Hernández (1834-1886) ].
[ * orillas: sponde; a Buenos Aires il termine indica i quartieri degli immigrati sulle sponde dell Rio de la Plata ]
[* Carlos de la Púa, nome originale Carlos Raúl Muñoz y Pérez (La Plata, 1898 -1951, poeta e giornalista argentino, conosciuto anche come il Malevo Muñoz e che in altri ambienti si faceva Carlos Muñoz del Solar ]
[ * Luis Mario: pseudonimo di María Luisa Carnelli (La Plata, 1898 - Buenos Aires, 1987). Poetessa, scrittrice, giornalista, paroliere di diversi tanghi.]