[ ANTOLOGIA ]

9 - Evoluzione musicale: la Guardia Vieja

    " Il tango" - scrive Borges - "si può discutere e lo discutiamo, però rinchiude, come tutto ciò che è vero, un segreto. I dizionari registrano, da tutti approvata, la sua breve e sufficiente definizione; tale definizione è elementare e non promette difficoltà, però il compositore francese o spagnolo che, confidando in essa, compone correttamente un tango, scopre non senza stupore, che ha composto qualcosa che il nostro orecchio non riconosce, che la nostra memoria non ospita e che il nostro corpo rifiuta".

    Sulle orme di questa riflessione Ferrer segnala che:
"… il sapore del tango è: non si crea, non si costruisce, si percepisce…" E per questo il tango non è né una opera, né un uomo, né uno strumento - basi invariabili su cui si costruiscono le più assurde definizioni letterarie ; nemmeno è un'annotazione musicale…"
In un lavoro successivo questo autore definisce più ampiamente: "…questo sapore, questo mondo, questa vita segreta e poderosa che si trova" … "sotto i segni dei successi del tango, dei suoi idoli, delle sue istanze più notorie".
Si riferisce allora al "…moltitudinario laboratorio dove infiniti e anonimi artisti inventano, in mezzo al normale e abitudinario lavoro di tutti giorni, gli elementi che il talento di alcuni di loro porterà alla superficie…" E aggiunge: "Centinaia di musicisti che hanno raschiato il loro violino, tastato il loro bandoneon o pianoforte, nel più oscuro anonimato, hanno contribuito, in maniera infinitesimale ma massiva, a dare al tango - attraverso l'impronta della sua fattura comune - la fisionomia estetica attraverso la quale riconosciamo l'alito spirituale che lo rende inconfondibile. Si potrebbe dedurre da questo, che l'importanza delle loro annotazioni musicali, per esempio, come tratto di definizione, non ha un'importanza notevole. È qualcos'altro che determina cosa sia il tango e cosa l'altra musica. È che forse, proprio questo è il vivo segreto dell'arte popolare…".


    E Rossi segnala: "… a volte tutta l'orchestra era un organetto o una fisarmonica…"

    A quei tempi (scrive Carella): "Alla fine di ogni pezzo si passava il piattino o il cappello per raccogliere l'obolo. Potevano ballare solo quelli che contribuivano. Più tardi, in certi posti, ci fu il prezzo fisso: dieci centesimi per ballo e compagna. I musicisti " - continua - "suonano a orecchio o a memoria. Il tango ai suoi inizi non si scrive. Forse molto pochi sapevano la scrittura musicale. Improvvisano una melodia, la provano, la suonano. Se piace la ripetono. Se piace molto, rimane. Qualche signore ingegnoso inventa dei versi su temi di attualità o con sfacciate allusioni ai presenti o a personaggi conosciuti. Musica e testo ripetuti dagli ascoltatori arrivano in centro. Sono cantate di nascosto tra uomini soli, per evitare che bambini e signore possano sentire "quella roba"…"

    Gonzales Arrilli ricorda che:
"… quando l'intimità li proteggeva [i "patoteros" *], si davano a vicenda lezioni di tango, che così entrò nelle sale famigliari, come un contagio vendicativo del compadrito, parente vicino, anche se senza 'gli sghei' del ragazzo bene…"

    Però, perché succeda questo, perché il tango si imponga, si deve percorrere un lungo tratto. Tallon evoca così le prime vicissitudini del tango:
"… Nella casa delle comisionistas (donne intermediarie tra i ruffiani [canflinfleros] e i padroni dei postriboli di campagna) si facevano balli continuativi. Si prolungavano per settimane e mesi. Quando finivano ricominciavano con il cambio dell'elemento femminile, da cui in conclusione si deduce che si ripetevano quasi senza pause e senza fine. Si può immaginare il numero di orchestre creole che li coadiuvarono. Quasi tutte di seconda e terza categoria, si guadagnavano da vivere in queste case e in altre peggiori. Conforta sapere che i più famosi della guardia vieja, Greco, Arolas, Sposito, Pacho, Santa Cruz, Firpo, Berto, Canaro, rimasero lontani da questo ambiente, in tutte le tappe della loro carriera…"

    Tallon inoltre ricorda che: "… le orchestre di Lo de Hansen, in Palermo, erano le stesse che frequentavano le sale da ballo settimanali della classe media: Campoamor, Poncio, Bazan, Padula, El Tano Vicente, El Tano Prudente, Zambonini (l'autore di La Clavada, che in certe occasioni obbligò, da grande guappo, un'orchestra di italiani a La Boca a suonare il suo tango tutta la notte); e non c'è dubbio che a Lo de Hansen anche le orchestre quacchere dei proibizionisti si aggiornarono con i tanghi…"

    Con altre parole Canel valuta tale periodo iniziale: "Siccome gli strumentisti di questa prima fase suonavano a orecchio, le esecuzioni di un determinato tango non era vincolata come quella di un musicista che legge la musica scritta. Anche per questo nel tango primitivo appare l'improvvisazione, tecnica questa che si manifesta da sola e che appare possibile per la libera utilizzazione degli elementi basici. Il tango non scritto offrì una vitalità molto grande proprio perché non cristallizzato dalla scrittura che fissa definitivamente ciò che deve essere eseguito."

    E sull'improvvisazione Alberto Soriano scrive che: "…il disimpegno dalla carta degli improvvisatori, nei cambiamenti del mondo espressivo del tango è molto importante…". "… possiamo pensare con qualche ragione, che l'improvvisatore si avvicina, come elemento portatore di progresso, alle modifiche che la ricettività dell'ambiente collettivo accetta e assimila, nelle metamorfosi dello spirito della forma…" "… nelle mani [degli improvvisatori], il violino o la fisarmonica si separano dal semplice divertimento o gioco e subito, come svegliando qualità addormentate, condividono in fugaci istanti qualcosa di quella interiorità profonda e inquietante che, senza mai invecchiare, vive nel cuore dell'uomo da secolo a secolo".

    È impossibile non citare Tallon, se si vuole sapere del processo di gestazione del tango:
" Quelli che facevano i musicanti nei bar avevano il titolo di tanguistas. Furono musicanti senza pretese che avevano scoperto nel tango, con una completa indifferenza professionale, un facile mezzo di sopravvivenza. Anche dopo il 1905 le loro orchestre superavano di poco quelle originarie. Si componevano di flauto, mandolino, chitarra o arpa, violino e, a volte, armonica. Faccio notare inoltre che tali orchestre non suonavano nei locali con un contratto, ciò si è fatto molto più tardi, ai nostri giorni. Erano orchestre ambulanti, si moltiplicavano a profusione e si succedevano l'una all'altra quasi quotidianamente. Conviene che il lettore non se le immagini come locate sempre in un palco orchestrale e neanche su pedane improvvisate. Le si accomodava come era possibile: spostando un tavolo o alla meno peggio in piedi contro un muro laterale o in un angolo, se era abbastanza spazioso. Inoltre conviene non supporre che fossero orchestre criolle senza eccezione. I tanguistas che passavano per La Boca erano per la maggior parte italiani meridionali. La chitarra e l'armonica, con sorpresa e sconcerto dei tangueros attuali ( devo rivelare queste cose) le rimpiazzavano col clarinetto. Però questi musicisti suonavano solo a La Boca. Negli altri quartieri suburbani la situazione era sempre dominata dalle orchestre criolle. E furono sempre i compadritos locali - con più propensione a procurarsi una donzella che a pagare la retribuzione della padrona - quelli che diedero patente di volgarità al tango nei "cafes" ( bordelli collettivi con bevuta e ballo) della capitale e della provincia. A La Boca prosperavano anche i serenateros. Erano principianti che dovevano il loro soprannome a quello che erano allora le serenate per tutti i musicanti vernacolieri: il primo passo serio. Gli apprendisti si giocavano l'anima senza riserve, suonando senza sosta e gratuitamente e in qualsiasi luogo, compresi i caffè. In ogni caso ogni due o tre brani qualcuno di loro passava il piattino".

    Garcia Jimenez ricorda che:
"… i richiami dei tranvieri dei tram a cavallo de La Gran Nacional, danno al tango ritornelli fraseggiati con voce nasale, come pare che dica l'inizio di quel testo insolente che si burla del signorotto dalla pettorina rigida:
<
Mi chiamo Don Juan Capelletto Annòtatelo sul colletto…       [ Me llamo Don Juan Cabeyo anòteselo en el cueyo ]
    Questa danza continua a vivere sul filo e controfilo del Novecento, in uno strepitoso clima non santo, vietato alla classe colta. Suonata dai primi trio di arpa violino e chitarre e dalle orchestrine che aggiungono a questi strumenti la fisarmonica e il flauto, che si perdono in abbellimenti facendo concorrenza con i loro arpeggi all'intricato piroettare delle gambe e dei tacchi dei ballerini. Questi sono tutti compadritos, e per i forestieri del sud sono i loro principali "bailetin" (come ce li definisce con pittoresco neologismo l'ispirato compositore bonairense Juan de Dios Filiberto) . Quando passa l'organetto crepuscolare per alcuni angoli della periferia con i poliziotti tolleranti, il bailetin è in strada, sotto le prime pallide stelle…"

    Tutto questo periodo ha meritato il nome di Guardia Vieja e secondo Ferrer,
"… si può dire che cronologicamente la Guardia Vieja si estende dal 1880 al 1920. Corrisponde a questo periodo la fase di gestazione e prima crescita degli elementi che più tardi dovranno essere considerati per definire il tango. Su un piano puramente estetico: la nascita della specie per naturale ibridazione di altre specie popolari, accettate pienamente nelle nostre città. La determinazione timbrica in successivi ordinamenti strumentali: dall'anarchica costituzione dei primi gruppi fino all'esclusione dei metalli. La determinazione di una combinazione iniziale: arpa, violino e flauto. Poi, flauto, violino e chitarra. Più tardi dopo l'inizio del secolo, piano, violino e bandoneon. Tutti questi impianti strumentali funzionano in un regime di esecuzione interamente non scritto: il modo interpretativo è l'improvvisazione senza solisti…"

    Tallon riferisce che:
"… dal 1890 o '95, in tre angoli su quattro dell'incrocio di Suarez e Necochea, c'erano dei caffè musicali, senza donne - pertanto con meno gente estranea - e, intorno al 1905, con orchestre di tango. Tuttavia non erano quelle le orchestre tipiche criolle con bandoneon, che stavano in incubazione chissà dove. Quasi sempre le nuove orchestre, prima di presentarsi nella capitale, facevano un giro per i grandi postriboli con ballo della provincia. Però per esibirsi su quei palchi dovevano essere veterane o essere riconosciute subito come buone o emergenti dagli appassionati (oggi diremmo dai "fan") di un quartiere qualunque…"
L'angolo tra Suarez e Necochea era "… da prima del 900, quello che fu più tardi la vecchia Calle Corriente - durante la seconda, terza e quarta decade del secolo e sicuramente depurata da certe realtà - . Cioè fu ciò che non è alcun luogo di Buenos Aires: il centro della città…"

    Una descrizione di Juan Francisco Palermo, "… il cui lavoro deve avere indiscutibilmente, per i futuri investigatori delle origini della 'letteratura dei bassifondi', un valore che per ora alcuni non vogliono riconoscere", illumina anche il mondo della nostra musica cittadina:
"In quella sera di matinè di gala, gli ampi e lussuosi saloni di La Fratellanza de los Reos del Sur erano affollatissimi da un'amena e selezionata plebaglia di patiti. C'era di tutto, come nella valigia di un turco. L'equipaggiamento femminile alla moda a base di percalle policromi, sottovesti plissettate e fiammanti gonne entrevè erano la felicità dell'inquieta baraonda che assisteva a questo ballo vip in onore del guercio Zaborido, vice-capo della menzionata Fratellanza. L'interessante orchestra che delizia la pittoresca riunione la dirige l'affermato bandoneonista Genaro Zambuyo el Tano Sacramento"… " El Tano Sacramento arriva lì sul palco, col fazzoletto bicolore che gli imprigiona una ciocca di capelli adagiata sopra la sua stretta fronte, a forma di punto interrogativo, mentre con sguardo di sfida, lascia dormire la preziosa mano sinistra sulla tastiera del nasale bandoneon che piangeva le ultime note di un tango della Madonna…"

    La descrizione conferma, come si vede, le parole di Tallon riguardo ai: "tanguistas italiani". Però nello stesso tempo si riferisce a uno strumento che è fondamentale nella storia del tango.
Il bandoneon, scrive Garcia Jimenez,
"… di accento poderoso e suggestivo, viene a sostituire la fisarmonica; sa che il tango ha bisogno di lui…"
E qualcuno scriverà più tardi: "Bandoneon e tango sono la stessa cosa".
Per Martinez Estrada il bandoneon
"…è il succedaneo portatile dell'organetto e dell'organo…"; mentre Catulo Castillo, secondo i fratelli Bates, attribuisce
"… al bandoneon la definitiva sonorità del lamento che possiede il tango, la sua inclinazione al gemito, al rammarico".
Carella ricorda che
"… se il bandoneon si fabbricava in Germania, entrò in Spagna, Francia, Grecia o Giappone con la patente argentina".

    Quando il bandoneon fa la sua apparizione, osserva Canel, "… al principio è uno strumento in più nel gruppo strumentale, che aggiunge soltanto maggior densità al tessuto sonoro". Perciò "deve aver luogo un processo di adattamento, di assimilazione, che renda possibile trarre da esso un vero arricchimento. Nasce così una tecnica del bandoneon propria del tango, in accordo con la sua espressione, insieme a ciò che è dovuto alle caratteristiche di questo strumento, che influisce sullo sviluppo del tango, creando in questa maniera un nuovo stato di cose; nascono nuovi tanghi con caratteristiche speciali, generati da questa nuova esperienza".

    Tallon ci dice che :
" … fu nientemeno che davanti allo stupore di questo tipo di gente (un pubblico di amorali e di altezzosi e di altri la cui disgrazia e la cui fortuna consistette nel sembrarlo) che irruppero un giorno, nel mezzo di una tensione nervosa gemendo di pura umanità, i bandoneon…"
Aggiunge poi:
" L'angolo tra Suarez e Nicochea fu il punto di partenza delle prime orchestre tipiche creole. Si potrebbe fissare quella del Centenario come data approssimativa della loro comparsa imprevista. Genaro Sposito, subito idolo di San Telmo, Eduardo Arolas, di Barracas, Vicente Greco, di San Cristobal,. Tre bandoneonisti straordinari che si presentarono quasi insieme alle masse cittadine. Con il grande Juan Maglio (Pacho), che cominciò a Balvanera e dominò poi tutto il nord, concorrono nella grande gloria di aver portato il bandoneon al tango…".
"Lo strumento ci consegnò la sua anima - si scrisse più tardi - ma i tedeschi si riservarono la formula industriale. Dentro al bandoneon morirono i vecchi canti del Reno e il loro posto fu occupato dalle danze e dalle canzoni del Rio de la Plata".

    Ferrer segnala che:
" Il bandoneon, arrivato nelle nostre città dal 1870, con l'inizio del secolo intraprende il suo ingresso nelle formazioni di tango. Il suo ruolo si fa protagonista e la sua carriera abbagliante." E inoltre: "Nella vetrina della tradizionale casa del bandoneon Mariani di Buenos Aires (don Luis Mariani è stato il pioniere degli artigiani dedicati alla sua accordatura e alla sua riparazione - era esposto il bandeneon del padre di Ciriaco Ortiz, datato 1878…" Nella sua opinione: "Con l'eccezione del "tedesco" Arturo Bernstein, non ci fu nessuno nella Guardia Vieja che lo suonerà bene. Persino il famoso "tigre del bandoneon" Eduardo Arolas, non fu più di un modestissimo esecutore in confronto a Pedro Maffia".

    Più benevolo nel suo giudizio, Garcia Jimenez scrive:
" Dalle foriere dita del bruno Sebastian, alla vocazione conduttrice di Anibal Troilo "Pichuco", che praticamente converte il bandoneon nella cassa di risonanza della sua anima, dove conserva tutte le chiavi del gruppo orchestrale, la storia di questo strumento, tra di noi, mostra una fila di cultori eccezionali: Santa Cruz, Cipriano Nava, el tano Genaro, "Pacho", Vicente Greco, Bossi, Arolas, il tedesco Bernstein, Brignolo, Berto, tra i precursori; "El Yeppi" tra i gitani prodigiosamente intuitivi; Minotto con la sua evoluzione tecnica che si completa degnamente con Osvaldo Fresedo, Maruvvi e quella stupenda coppia che formarono Maffia e Laurenz . estendendo e schiacciando i "mantici" in canto e controcanto; Ciriaquito Ortiz , con la sua melodia pura - come le sue aure cordovesi - che sta sempre a chiedere un paio di viole accanto a sé e il tetto di paglia e fango di un rancio sopra la testa; Anselmo Aieta, col suo fraseggio emozionante, tessitore di accordi per quel inesauribile ricamatore di motivi… La venerazione profonda che il bandoneon porta al tango si ingrandisce quando si incrocia con un musicista come Filiberto…" Più avanti dice: " Quando questo strumento entra con legittima arroganza nelle orchestre di tango, altri decadono e alla fine se ne vanno: il flauto, per primo, poiché nel nuovo timbro grave non si intonano le sue acutezze salterine; la chitarra, poi, poiché il suo accompagnamento monotono viene esiliato da quello del piano…"

    Interessa citare ora altre osservazioni di Canel riguardo al bandoneon:
"Un anticipo dello stile bandoneonistico è costituito dalla registrazione del tango La Sonambula realizzata da Juan Maglio; in questa versione si trae profitto dalle possibilità dello strumento, trovando alcuni passaggi di totale identificazione dello strumento con quello che è il tango. In accordo con le nostre informazioni, questa registrazione è la prima realizzata con un bandoneon come strumento solista. Questa nuova tappa del tango culmina, a nostro modo di vedere, nelle esecuzioni di Arolas, le cui caratteristiche e originalità ottengono il loro più profondo significato nel ruolo del bandoneon, già maturo per il tango. Chi desiderasse avere un esempio dello stile di questo musicista può ascoltare le incisioni dei tanghi De vuelta y media e La Payanca. Il bandoneon impone una nuova utilizzazione dei ritmi basilari del tango; questi, che prima erano realizzati puramente sulla sensibilità e lo sviluppo melodico, sono ora creati in forma complessa. La base ritmico-armonica si unisce col ritmo melodico formando un tutto indissolubile."

    A questo punto, e secondo Carella,
"Come tutto ciò che è proibito, il tango prosperò. Se i gruppi festaioli (patoteros) favorirono la sua diffusione per mera voglia di divertimento, molto prima avevano già iniziato gli organetti di strada "Rinaldi" con tamburo e piatto, che lo introdussero surrettiziamente nella città. La strada è il veicolo principale della sua diffusione. Quando il fatto è compiuto non lo si può più fermare.
I ragazzi cantano senza malizia:

< Bartolo tenia una flauta con un aujerito solo > [ Bartolo aveva un flauto con un buchino solo ]

"Le giostre giravano con la musica del tango…". Il capo-carrozza della tranvia a cavalli suonava col corno arie di tango per annunciarsi e la servitù femminile che usciva per vederlo passare, poi canticchiava la melodia per la casa…"

    In questo trionfo, il bandoneon passa ad essere, come annota Ferrer:
" … la voce capace di essere modellata a piacere, di essere educata senza forzature nella fresca lettura del linguaggio popolare, finisce per diventare lo strumento simbolico del tango. L'uomo del popolo, l'uomo della strada, sente per il bandoneon un rispetto, un'ammirazione che non offre a nessun altro strumento."

    Un altro strumento verrà incorporato più tardi nel tango e, come si è letto precedentemente, soppianterà la chitarra. È il pianoforte.
Roberto Firpo ha ricordato (attraverso la penna di Portogalo) il seguente aneddoto:
"L'Armoneville organizza un concorso per orchestre. Il pubblico vota per il gruppo che più gli piace. Roberto Firpo integra quello di El Tano Genaro come pianista. Si procede alla votazione. E l'urna, allo scrutinio della votazione, da come vincitore il nome di Firpo. Grande agitazione in sala. Chi è Roberto Firpo? "Un pianista!" apostrofa dispregiativamente qualcuno. Mentre il nome di Roberto Firpo è invocato con vera devozione da quelli che ne hanno decretato il trionfo. Grande baruffa tra i musicisti che avevano partecipato al concorso. La discussione intavolata sale di tono. I bandoneonisti e i chitarristi delle orchestre tipiche sono indignati. La decisione del pubblico sembra loro assurda. Parole forti. Gesti. Minacce. Persino insulti si sentono quella sera all'Armenonville… Roberto Firpo in piedi vicino al suo strumento rimane impassibile a ciò che gli succede intorno."

    Da parte sua Garcia Jimenez segnala:
"Sulla pedana del cafè-cantante, 'con servizio al tavolo', all'incrocio di Suarez e Necochea, a La Boca del Riachuelo, sale il pianista Agustin Bardi. E insieme all'ansimare armonico del mantice di Genaro, percorre la tastiera - di denti gialli e tarlati - con dita che sono antenne sottili che captano le onde sentimentali della sua autentica ispirazione criolla. Bandoneon, violino e piano, rimangono come pietre angolari su cui appoggiare il raffinamento del tango."

    A sua volta Ferrer osserva che il piano:
"… viene incorporato quando le possibilità di lavoro prevedono l'apparizione del musicista "sedentarizzato" e con "l'orchestra della casa": nel 1905 per esempio Payrot e Giardini proprietari di Hansen, portano a Luis Suarez Campos il primo pianoforte cosiddetto stabile, perché lo inauguri".

    E Canel ci dice:
"Dopo il bandoneon, fa la sua apparizione il piano che con lo scorrere del tempo va a cambiare tutta la fisionomia del tango. Alla sua apparizione questo strumento comincia a sostituire la chitarra come strumento d'accompagnamento, fino a compiere il rimpiazzo totale di questa tra gli strumenti di primo piano. Il processo che dovette subire il bandoneon per adattarsi, si ripete a maggior ragione per il pianoforte, data la sua completezza, e dovrà passare un po' di tempo prima che si sviluppi una tecnica essenzialmente pianistica in funzione del tango. Le prime formazioni che adottano il piano (l'orchestra di Vicente Greco e poi tutte le altre) mostrano questo strumento in un ruolo neutro che fa rimpiangere la chitarra."

    Esempi di questo primo periodo del piano sono per Canel: " … le incisioni del tango Los Tatos realizzata da Vicente Greco, e El Tio Soltero dell'orchestra di Juan Maglio. Come illustrazione di questo stile originario si possono ascoltare le incisioni dei tanghi La Viruta e Empuja que se va a abrir realizzata in assolo di piano da un pianista il cui nome non compare, sotto l'etichetta Artigas, disco N.60704."

    Ma presto il piano dovrà adattarsi alle necessità della nostra musica nazionale. Tallon segnala che:
"…Ernesto Zambonini al violino e Prudencio Aragon (El Yoni) al piano, inaugurano con l'orchestra tipica l'incisivo ed eccitante ritmo del canyengue…" Allo stesso tempo ricorda: "…Tra le altre orchestre di ampia reputazione di questo periodo [figura] quella di Roberto Firpo, sebbene fosse pianista e non bandoneonista come Greco, Sposito o Arolas…"

    Che questi nomi trionfino (quello di Firpo, quello di Aragon), implica necessariamente una vittoria dello strumento che suonavano e anche una integrazione di questo strumento nello spirito del tango. Canel commenta tale processo:
" Già uno stile pianistico più evoluto e maturo è riconoscibile nella versione del tango Argañaraz con l'assolo di piano di Roberto Firpo, [sebbene] si debba arrivare fino all'Orchestra Loduea, col suo pianista Thompson, per sentire che comincia a profilarsi uno stile pianistico in accordo col tango. In questa orchestra vediamo che già si prende spunto dalla percussione ritmica e si imposta una pulsazione speciale che produce un suono originale, appropriato per esprimere il tango. Vediamo che la vecchia formula ritmica della chitarra, che in genere era stata imitata dal piano nei suoi primi passi, perde il "punto di valore" e si trasforma in un movimento uniforme di crome; i tanghi si continuano a scrivere in tempo 2/4 però ciò che si marca nella realizzazione è un tempo 4/8. Servono a illustrazione di questo caso le incisioni dei tanghi Chacarita, El Consultorio, Cara Sucia, etc…."

    Insieme all'evoluzione strumentale si produce un'altra evoluzione del tango. La nostra musica nazionale si estende, si proietta verso mondi nuovi e abbandona progressivamente questo universo limitato, ristretto al livello mitologico delle periferie. Ricorda Carella che il tango:
" … è portato in centro città da Vicente Greco", consacrandosi definitivamente: "… ottiene un tal successo [Greco] che lo portano in trionfo per Corrientes. La gente fa la fila per entrare nel locale. Si interrompe il transito e deve intervenire la polizia per ristabilire l'ordine. Quella gente, in accordo con la sua stirpe e la sua regola, - aggiunge - non entra senza fare casino…"

    E riferendosi anche lui a questo periodo Tallon dichiara:
" I tanghi più diffusi della prima decade furono El Choclo, El Porteñito, El Esquinazo e Cuidado con los Cinquenta (forse il primo tango con testo) di Angel C. Villoldo, Te pasaste e Che, sacamele el molde, di Jose Luis Roncallo; La Reina de Saba, de Rosendo; Me entendes lo que te digo di Ernesto Borra; No arrugues que no hay quien planche, di Miguel Carvello; La Morocha di Ernesto Saborido; Recuerdos de la Pampa e Cabo Cuarto di Alfredo C. Bevilacqua. Non trovo i titoli dei tanghi di Manuel O. Campoamor, che precedette con gran fama, facendo scuola ai suddetti e che sta negli albori del tango di periferia. Un altro grande precursore fu Carlos Posadas. Dopo Campoamor, apparvero succesivamente ai compositori menzionati Agustin Bardi, Eduardo Arolas, Vicente Greco, Francisco Canaro, Roberto Firpo, Josè Guardo, Ernesto Zambonini, Juan Maglio Pacho, Domingo Santa Cruz, Francisco Lomuto, Augusto P. Berto, Juan Carlos Cobian, Arturo de Bassi, Carlos Lopez Buchardo, Juan de Dios Filiberto, Vicente Loduca, Lorenzo Logatti, Ernesto Poncho, Josè Martinez, Angel Pastore, Enrique Delfino, Prudencio Aragon, Vicente Padula, Carlos Flores."

    In questo modo si arriva alla vigilia di un nuovo periodo del tango che sarà definito Guardia Nueva. In quanto al precedente, a tutta questo corso che include la gestazione, lo sviluppo e il trionfo del tango, Ferrer dice:
" Non c'è niente di completamente definito nella Guardia Vieja. Qualsiasi nota si suoni è impegnata nei vacillamenti propri di una grande impresa in divenire, nei dubbi di una bella intenzione senza materializzazione, nelle indefinizione propria di un gruppo di uomini eterogeneo, embrione dei caratteri nazionali dei quali siamo legatari…". E aggiunge:
" D'altra parte, la condizione marginale della maggior parte dei suoi officianti mantiene il tango sommerso in una nebulosa appena solcata dai riflessi dei suoi idoli, dall'attrazione semi-rivelata del proibito".
" Molti dei musicisti del tango - che non vivono di questa professione ampiamente screditata - praticano altri mestieri per sopravvivenza: Arolas fa il pittore d'insegne, Greco lo strillone, Berto l'imbianchino, Contursi il bracciante, Firpo è decoratore e grafico, Villoldo linotipista." E conclude con queste parole: "
Fino al 1915, approssimativamente, mentre si avverte il progressivo trapianto delle piccole orchestre verso il centro [città] - da La Marina a Suarez e Nicochea, fino a El Estribo al 700 di Entre Rios, passando dal Bar Castilla di Corrientes 1265, fino ad arrivare al cuore stesso dell'urbe: Cafè Botafogo a Lavalle e Suipacha, seguendo un itinerario illuminante per chiunque - non si può parlare in alcuna maniera di indipendenza estetica del tango, né in definitiva di tratti formali propri. Dopo poco, quando tra il '15 e il '20, alla illuminata vocazione pioniera dei suoi primi cultori, seguirà la grande vocazione creativa di una nuova generazione, allora potremo parlare del tango senza virgolette…".

   

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[ * Patoteros: gruppi festaioli, gente che gira in gruppo sempre insieme tra i locali del divertimento notturno. Da "pato", anatra ]