[ ANTOLOGIA ]

4 - Presenza degli italiani

    Un giorno del 1910, Juan B. Justo [ * ], tra altre cose segnala:
" Insieme alla trasformazione economica del paese , si è prodotto un altro cambiamento di grande importanza per la società argentina. Sono arrivati un milione e mezzo di europei, che uniti all'elemento di origine europea già esistente, formano oggi la parte attiva della popolazione." E aggiunge: " Sin dal suo arrivo, l'immigrante è solitamente invitato a entrare nel suo grembo [di Buenos Aires] e qui ciò che si parla, che si scrive, che si stampa, è bene o male redatto nella nostra lingua."

    Entrambi i paragrafi non solo documentano la proiezione e l'importanza del processo immigratorio a Buenos Aires all'inizio del secolo, ma indicano anche la rapida identificazione dell'immigrante nel paesaggio che lo circonda. Però occorre sottolineare che tale contributo europeo era rappresentato essenzialmente dagli italiani e a questo si deve giustamente che " … La cultura rioplatense sia di chiara indole italiana …" come annota Vidart [ * ], che aggiunge: " Però la trasmissione dei valori etnici peninsulari non è stata unilaterale. Il prezzo della convivenza è la reciprocità, l'osmosi. In questo modo l'italiano ci consegnò il suo lascito mentre assimilò parallelamente il nostro sistema di segni socio-culturali, la nostra peculiarità psicologica. Gli Italiani si 'accreolarono' e noi, senza volerlo né saperlo, ci italianizzammo."

    Chiaramente, e per dirlo con le parole di Ferrer [ * ]: " Il destino degli immigranti non fu per niente ugualitario. Dove arrivarono contingenti di persone la cui specializzazione come artigiani fu assorbita da una classe media dove la manodopera qualificata era scarsa, gli immigranti riuscirono a sistemarsi sia in città come in campagna adattandosi alle loro condizioni di vita. Però, insieme a questi apporti il cui futuro in America era a priori - e in qualche maniera - assicurato, sbarcarono nei nostri porti anche decine di migliaia di uomini senza mestiere, attratti come mandrie dal falso miraggio di un'esistenza avventurosa: venivano a 'farsi l'America' ". [ * ]

    Questi nuclei umani formarono una realtà aspra e amara che influisce poderosamente sul mondo rioplatense e anche sul tango. Miserie, fallimenti, delusioni dell'immigrante, motivarono la seguente poesia di Carlos de la Pùa:

Vinieron de Italia, tenían veinte años,                             Vennero dall'Italia, avevano vent'anni,
con un bagayito por toda fortuna
                                    con una valigia con dentro tutto il destino;
y, sin aliviadas, entre desengaños,
                                e senza sollievi tra le tante delusioni
llegaron a viejos sin ventaja alguna.
                               diventarono vecchi senza alcun progresso.
Mas nunca a sus labios los abrió el reproche.
              Mai un rimprovero uscì dalle loro labbra.
Siempre consecuentes, siempre laburando.
                Sempre al pezzo, sempre a lavorare.
Pasaron los días, pasaban las noches
                          Passarono i giorni, passarono le notti:
el viejo en la fragua, la vieja lavando.
                             il vecchio in fucina, la vecchia al lavatoio.
Vinieron los hijos. ¡Todos malandrinos!
                        Vennero i figli, tutti malandrini!
Vinieron las hijas ¡Todas engrupidas!
                           Vennero le figlie, tutte deluse!

Ellos son borrachos, chorros, asesinos,
                        Sono ubriaconi, ladri, assassini
y ellas, las mujeres, están en la vida.
                              e loro son donne che fanno la vita!

[ Los bueyes, 1928, musica di Ernesto de la Cruz, parole di Carlos de la Púa ]

    Un quadro simile spunta già da alcuni racconti di Cambaceres. In Musica Sentimental si legge:
"…Di sotto, nella confusione, gli italiani de La Boca si portavano dietro le loro donne, si caricavano i loro figli, andavano da una parte all'altra…" allo stesso tempo aggiungono modi di dire ed espressioni carichi di risonanze lunfarde, di italianismi:
"…Quello, dicono, è un vile [un mandria]…", "Il suddito napoletano Giacomo Piazzetta si fregò [se pungueò] due arance dal banco del Mercato del Centro..", etc.

    Come segnala Vidart:
" Le voci dei dialetti italiani furono golosamente assimilate dalla feccia delle periferie, che fece i suoi primi passi linguistici sopra i trampoli di queste parole dannose…"

    Comunque, a parte quello idiomatico, bisogna stabilire i valori sentimentali e spirituali che l'immigrazione apporta al nostro mondo e alla sua musica. Ferrer sottolinea che:
" Il tango è in origine la rivelazione di uno stile di vita. Un vecchio modo di vita: la miseria della spazzatura umana, dei margini della città negli ultimi anni del secolo XIX… italiani frustrati nella loro modesta aspirazione di 'farsi l'America' ", il che origina quella forzata mistura di 'insoddisfazione, nostalgia, inadeguatezza e fame, che sarà il brodo di coltura della musica che più tardi si chiamerà tango' "

    Giustamente, in vari testi di tango si mostrano le situazioni che visse l'immigrante nell'integrarsi nelle città rioplatensi:

Con el codo en la mesa mugrienta                             Con il gomito sulla tavola unta
y la vista clavada en el suelo,
                                      e lo sguardo perso in un sogno,
piensa el tano Domingo Polenta
                                pensa il tano Domingo Polenta
en el drama de su inmigración.
                                  al dramma della sua emigrazione.
… …
Canzoneta de pago lejano
                                          Cantilena di una terra lontana
que idealiza la sucia taberna
                                      che idealizza la sporca osteria
y que brilla en los ojos del tano
                                   e che brilla negli occhi del tano
con la perla de algún lagrimón...
                                 con la perla di un lacrimone…
La aprendió cuando vino con otros
                            La imparò quando arrivò con altri
encerrado en la panza de un buque,
                          rinchiuso nella pancia di un bastimento,
y es con ella, metiendo batuque
                                 ed è con essa facendo gazzarra
que consuela su desilusión.
                                        che consola la sua disillusione.

[La violeta, 1930, musica: Cátulo Castillo, testo: Nicolás Olivari]

    L'italiano inoltre va rapidamente ad essere raffigurato nella nostra letteratura teatrale. È una figura comune della farsa. Per questo Martin F. Lemos [autore teatrale] riferendosi a Pacheco [personaggio di un suo spettacolo] scrive:
"Portato dalla sua curiosità innata, coglie i personaggi più contraddittori e cosmopoliti: dal netturbino sornione, al mascalzone rissoso, dall'operaia sentimentale, al bambino bulletto, dall'operaio che legge Kropotkin all'emigrante che sogna di morire nel grembo del suo paese natale e tra le braccia della sua mamma, i quali affollano i quartieri di La Boca, Paseo de Julio, Bajo Belgrano, Barracas e Palermo…"

    C'è un altro fatto (segnalato ancora da Vidart) che conviene sottolineare per capire la veloce americanizzazione dell'italiano e la parallela assimilazione dei suoi costumi e valori nei nuclei delle periferie:
"Non si può passare sopra all'attività di Garibaldi nel Rio de la Plata. L'epopea garibaldina nel Nuovo Mondo abbraccia un arco di tredici anni. Dal 1834 al 1847 Garibaldi combattè in Brasile, Uruguay e Argentina per la causa della libertà. Una legione di ottocento combattenti si formò per difendere la città di Montevideo durante la Guerra Grande, e questo avvenimento segnò il sorgere di una coscienza garibaldina rioplatense a contorno dell'idealizzazione libertaria dell'italianità. Più tardi, all'inizio del XX secolo, gli anarchici italiani continuarono tale semina, chiaramente mescolando altri tipi di semi filosofici e sociali. Però quello che interessa è che la memoria delle gesta garibaldine e i generosi postulati di libertà sopravvivono nella tradizione familiare della gente umile, che arrivò dalla penisola italiana per guadagnare e difendere il suo pane quotidiano…"

    Espressione delle agitazioni sociali che si accesero con il soffio rinnovatore dell'immigrazione nella Buenos Aires di inizio secolo, è la vignetta che appare nel giornale Caras y Caretas del gennaio 1903: si vede il dott. Miguel Canè (che redigerà la legge sulla residenza) arrivare a un porto d'Europa con una borsa piena di emigranti sulle spalle. Spiega: "Vengo per gli immigranti; però da oggi la fate voi una selezione perché non voglio più avere agitatori, rivoluzionari, scioperanti, comunisti, socialisti, anarchici…" Al che l'Europa risponde: "Basta, lo so già quello che vuole: una emigrazione composta da banchieri e arcivescovi…".

    L'italiano inoltre presta al tango uno degli strumenti musicali di cui beneficeranno le sue prime esecuzioni. Dice Mario:
"Il tango di ieri o fu "compadrito" o fu "guapo". Fiorì con adorni e variazioni di flauti e con pizzicati saltellanti di violino oppure brontolò con arpeggi bassi di fisarmonica…"

    La fisarmonica costituì, per il processo di gestazione del tango, uno dei contributi più preziosi.
"Questa epopea popolare dell'immigrazione italiana (di coloro che si fecero strada dalle periferie fino al centro delle città a forza di lavoro, raccogliendo moneta su moneta, mangiando saltuariamente, bevendo vino della casa dei bar di periferia), seppur taciuta e nascosta dalla storia ufficiale, non ha avuto altro canzoniere che quello del tango…". Sono parole di Daniel Vidart che sintetizzano l'importanza del contributo dell'immigrazione alla lingua, alla musica, al paesaggio umano del Rio de la Plata.

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[ * Juan Bautista Justo (Buenos Aires, 1865 -Los Cardales, 1928) medico, giornalista, scrittore, parlamentare, fondatore del Partido Socialista de Argentina ]
[ * Daniel Darío Vidart Bartzabal (Paysandú, 1920) antropologo e scrittore uruguayano]
[ * Eugenio Modesto de las Mercedes Cambaceres Alais (Buenos Aires, 1843 - 1889) scrittore e politico ]
[ * Horacio Arturo Ferrer Ezcurra (Montevideo, 1933 - Buenos Aires, 2014) scrittore, poeta, storico del tango, uruguayano e nazionalizzato argentino]
[ * tano: dalla parola napolitano, a Buenos Aires significa italiano]
[ ndt: In un secolo, dal 1876 al 1976, 24 milioni di emigranti hanno lasciato l'Italia, e di questi 3 milioni hanno trovato casa in Argentina. Nel 1836 a Buenos Aires, vi erano 62.000 abitanti e, nel 1880, si raggiunse la cifra di 313.000 persone. - Dal 1864 al 1914, grazie all'immigrazione, la città moltiplicò per 8 il numero della sua popolazione, con grandi cambiamenti nella sua fisionomia urbanistica. Più di 2 milioni di immigrati in 50 anni. ]